Il Russiagate/Ucrainagate
Peter Parker |
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Imperatrice spifferona
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NEW YORK – “Il mio lavoro sta diventando impossibile. Non mi faccio intimidire, basta con i tweet”. Il segretario alla Giustizia William Barr, finora uno dei più fedeli collaboratori di Donald Trump, esplode con uno sfogo che sembra il preludio alle dimissioni e accentua la crisi fra magistratura e Casa Bianca.
E’ una rottura grave in seno all’Amministrazione, anche se non certo la prima; fra le tante dimissioni di questo esecutivo va ricordata anche quella del predecessore di Barr, Jeff Sessions, costretto ad andarsene perché secondo Trump non lo aveva difeso abbastanza durante il Russiagate. Barr invece è stato granitico nella difesa del presidente durante l’impeachment, conclusosi la settimana scorsa con l’assoluzione al Senato.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un’altra, un episodio apparentemente minore (rispetto all’impeachment). All’inizio di questa settimana i procuratori federali avevano chiesto una condanna severa – dai sette ai nove anni di carcere – per un vecchio amico di Trump, Roger Stone, accusato di aver mentito sotto giuramento per proteggere il presidente dallo scandalo del Russiagate. I procuratori in questione dipendono dal Dipartimento di Giustizia, cioè un ramo dell’Amministrazione; tradizionalmente però godono di ampia indipendenza, esiste una “muraglia cinese” che per consuetudine li protegge dalle interferenze del presidente. Non di questo presidente, a quanto pare.
Trump è andato su tutte le furie per la pena severa richiesta ai danni del suo amico. Ha preteso che il Dipartimento di Giustizia sconfessasse l’operato dei suoi procuratori. Barr come prima reazione ha ceduto alle pressioni del presidente. Col risultato che sono cominciate a fioccare le dimissioni: una rivolta in seno al ministero, da parte dei magistrati di carriera. Alla fine lo stesso Barr sembra averci ripensato. In un’intervista alla televisione Abc News l’Attorney General sbotta contro tutti quelli che lo criticano: Congresso, giornali, o lo stesso presidente.
“Non posso continuare il mio lavoro su uno sfondo continuo di commenti che mi sminuiscono”. Finché se la prende con il Congresso o con i media, nulla di sensazionale. Ma il ministro di Giustizia attacca molto esplicitamente chi lo ha nominato. I tweet del presidente, dice, “mi impediscono di garantire ai tribunali e ai procuratori del mio ministero che stiamo facendo il nostro lavoro con rigore”. La sua uscita è l’ultimo episodio in una crisi senza precedenti dai tempi di Richard Nixon all’interno del Dipartimento di Giustizia, scosso da una crisi di credibilità per le pressioni esplicite di Trump.
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