Recensione di The walking dead. Raccolta 1, Sul numero 1376 di Internazionale
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Nel numero in edicola di Internazionale leggo questa recensione sull’ultima raccolta di TWD a firma Francesco Boille: Successo mondiale del fumetto statunitense che ha travalicato il mezzo d’espressione originario diventando una serie televisiva, The walking dead esce in Italia in singoli pocket e in varie ristampe e raccolte. Cosa dire di una serie così anemica di personalità, in primo luogo grafico-visiva, oltre che narrativa e tematica? Siamo ben oltre il già visto e già letto. Tutti gli stilemi grafici creati dal geniale Frank Miller nella seconda parte della sua carriera – da Sin City a Batman Dark Knight volume 2 e 3 – veicolano un’espressionismo concettuale e stilizzato, apparentemente glaciale, che trasfigura il divenire robotico sia nostro sia delle estetiche dei mezzi d’intrattenimento. Qui – ed è un triste paradosso – diventano il suo esatto contrario. Tutto è normalizzato e i due disegnatori che si sono avvicendati, prima Tony Moore e poi Charlie Adlard, non solo riprendono senza alcuna forza e originalità espressiva la visione stilistica milleriana e le sue invenzioni di montaggio, ma non raggiungono nemmerno l’artigianato ispirato capace di trasmettere una qualche interiorità. La sceneggiatura ha la fluidità di lettura tipica di chi ha il mestiere, come appunto Robert Kirkman, ma non aggiunge nulla alle narrazioni di morti viventi. Tanti episodi di Dylan Dog, anche del nuovo corso, sono ben superiori. Quest’estetica asettica e amorfa si riassume con una parola: zombie. Francesco BoilleDopo aver letto il pezzo mi è spuntata un’espressione da WTF..?! che meriterebbe un emoticon. Frank Miller? Quello di Sin City e DK2, poi? Che cosa c’entra con Adlard e Moore? The Walking Dead non avrebbe aggiunto nulla al genere? Ma se il genere l’ha praticamente divorato per trarne un trattato di sociologia politica. Che un critico di mestiere non riesca ad andare oltre alla prima lettura di lotta agli zombie mi lascia basito. Stendiamo un velo pietoso sul paragone con Dylan Dog: non che io voglia sminuire quest’ultimo o l’attuale gestione della testata, è il paragone che non ha alcuna valenza logica. Serie di albi autoconclusivi contro una storia unica lunga più di cento cinquanta episodi, epopea corale contro caso del mese, team creativo unico contro decine di autori coinvolti. Bah! Boille, che non conosco se non per la sua rubrica settimanale dedicata ai fumetti su Internazionale, dimostra ancora una volta che sulle testate generaliste, quando si parla di fumetti, la superficialità la fa da padrona. Avrei voluto dire “incompetenza”, ma se lo lasciano scrivere da anni di fumetti, immagino qualcosa ne sappia. Magari ha un po’ di pregiudizi rispetto al mercato statunitense visto che cita (a sproposito) uno dei due/tre nomi che anche i critici che non seguono quel settore conoscono: Miller, Alan Moore, Gaiman. Ci sono rimasto male a veder trattato così uno dei miei fumetti preferiti dell’ultimo ventennio A scanso di equivoci: non è che TWD debba piacere per forza, ma se lo si vuole criticare lo si faccia con argomenti validi, non certo paragonandolo a Dylan Dog o tirando in ballo assurdi paralleli con Miller.
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I paragoni effettivamente sono fuori luogo in maniera imbarazzante. Sulla qualità del lavoro di Adlard e Moore invece sono assai d'accordo.
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QUOTE (absoluto @ Domenica, 20-Set-2020, 09:10) | Nel numero in edicola di Internazionale leggo questa recensione sull’ultima raccolta di TWD a firma Francesco Boille:
Successo mondiale del fumetto statunitense che ha travalicato il mezzo d’espressione originario diventando una serie televisiva, The walking dead esce in Italia in singoli pocket e in varie ristampe e raccolte. Cosa dire di una serie così anemica di personalità, in primo luogo grafico-visiva, oltre che narrativa e tematica? Siamo ben oltre il già visto e già letto. Tutti gli stilemi grafici creati dal geniale Frank Miller nella seconda parte della sua carriera – da Sin City a Batman Dark Knight volume 2 e 3 – veicolano un’espressionismo concettuale e stilizzato, apparentemente glaciale, che trasfigura il divenire robotico sia nostro sia delle estetiche dei mezzi d’intrattenimento. Qui – ed è un triste paradosso – diventano il suo esatto contrario. Tutto è normalizzato e i due disegnatori che si sono avvicendati, prima Tony Moore e poi Charlie Adlard, non solo riprendono senza alcuna forza e originalità espressiva la visione stilistica milleriana e le sue invenzioni di montaggio, ma non raggiungono nemmerno l’artigianato ispirato capace di trasmettere una qualche interiorità. La sceneggiatura ha la fluidità di lettura tipica di chi ha il mestiere, come appunto Robert Kirkman, ma non aggiunge nulla alle narrazioni di morti viventi. Tanti episodi di Dylan Dog, anche del nuovo corso, sono ben superiori. Quest’estetica asettica e amorfa si riassume con una parola: zombie. Francesco Boille
Dopo aver letto il pezzo mi è spuntata un’espressione da WTF..?! che meriterebbe un emoticon.
Frank Miller? Quello di Sin City e DK2, poi? Che cosa c’entra con Adlard e Moore?
The Walking Dead non avrebbe aggiunto nulla al genere? Ma se il genere l’ha praticamente divorato per trarne un trattato di sociologia politica. Che un critico di mestiere non riesca ad andare oltre alla prima lettura di lotta agli zombie mi lascia basito.
Stendiamo un velo pietoso sul paragone con Dylan Dog: non che io voglia sminuire quest’ultimo o l’attuale gestione della testata, è il paragone che non ha alcuna valenza logica. Serie di albi autoconclusivi contro una storia unica lunga più di cento cinquanta episodi, epopea corale contro caso del mese, team creativo unico contro decine di autori coinvolti. Bah!
Boille, che non conosco se non per la sua rubrica settimanale dedicata ai fumetti su Internazionale, dimostra ancora una volta che sulle testate generaliste, quando si parla di fumetti, la superficialità la fa da padrona. Avrei voluto dire “incompetenza”, ma se lo lasciano scrivere da anni di fumetti, immagino qualcosa ne sappia. Magari ha un po’ di pregiudizi rispetto al mercato statunitense visto che cita (a sproposito) uno dei due/tre nomi che anche i critici che non seguono quel settore conoscono: Miller, Alan Moore, Gaiman.
Ci sono rimasto male a veder trattato così uno dei miei fumetti preferiti dell’ultimo ventennio
A scanso di equivoci: non è che TWD debba piacere per forza, ma se lo si vuole criticare lo si faccia con argomenti validi, non certo paragonandolo a Dylan Dog o tirando in ballo assurdi paralleli con Miller. |
La conoscenza, probabilmente lacunosa e superficiale, del contesto fumettistico in cui nasce TWD hanno portato lo sprovveduto articolista a quei paragoni azzardati e a giudizi ancor più strampalati. Certo, nulla di sorprendente rispetto a quanto leggo spesso su questo forum ma lì è diverso perché si presume che sia un articolo pagato. Su Internazionale c'è un angolo della posta in cui si possono esprimere critiche o segnalare errori nei vari pezzi.
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Estrella |
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Sidekick
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QUOTE (bgh @ Domenica, 20-Set-2020, 17:15) | I paragoni effettivamente sono fuori luogo in maniera imbarazzante. Sulla qualità del lavoro di Adlard e Moore invece sono assai d'accordo. |
Idem Ho appena letto il finale nella versione da edicola e, a parte che non m'è piaciuto, avrebbe potuto metterlo un centinaio di numeri prima e sarebbe stato lo stesso, anzi, avrei risparmiato qualche euro. La migliore recensione alla sua opera la coniò George Lucas più di 40 anni fa: " Coinvolgere emotivamente il pubblico è facile, basta che mostri un gattino e poi qualcuno che gli torce il collo". Sennò va bene pure questa Tanto, Martin e Kirkman so' uguali. Tutti e due panzoni con la barba Ho un po' esagerato, scusate. E' che sono reduce da una full immersion nei topic delle bestemmie Alla fine The Walking Dead l'ho letto tutto, quindi non è che mi abbia fatto schifo, eh. Però Adlard no. Lui proprio non m'è mai piaciuto
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texhnolyze |
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Spirito con la Scure
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Non credo che stesse accostando i 2 disegnatori a Miller nel segno ... Ha preso Miller come esempio di stilizzazione riuscita e quei due come l'esatto opposto: anonimo, termine che si confà alla meccanizzazione citata. Bastano 15 secondi per notarlo, 5 per effettuare la ricerca su google e 10 per una rapida occhiata. No, non sto facendo il simpatico, sono cose che riconosci a pelle, ma chiaramente a chi piace può continuare a farselo piacere, non c'è bisogno di farsi venire il sangue amaro per uno che ha scritto un commento, quella non è una recensione. Divenire robotico=standardizzazione. Trasfigurare=cosa buona. Il discorso ha un suo senso anche se è confuso. Sempre tentando di interpretarlo, "divenire robotico sia nostro"= nostra società ed è insindacabile. In pratica il segno di Miller si fa portavoce della nostra società ma con la stilizzazione estrema combatte la sterilità che la contraddistingue. Dopo parla di montaggio, mi sono concesso altri 60 secondi di ricerca, visto che ero curioso e ho sfogliato a caso il capitolo 165 online. Non so come è DK2 ma in questo capitolo c'è la gabbia a 16 vignette con teste parlanti usata in DKR. Se fosse solo per questo se lo poteva risparmiare il paragone, ma si sa che se citi Miller stai attirando fan ... A quel punto non ti resta che infilarci un altro cult, DD, e stai apposto. Al di là dei termini usati, del modo di esprimersi e degli accostamenti, quanto dice su Adlar e Moore è talmente vero che mi scuserete se lo affermo senza averlo letto, no, perché non lo leggerei mai con quei disegni. Quando dice che non raggiungono nemmeno l'artigianato è perché ritiene - credo - che siano proprio scarsi. Ora capisco che gli va contro anche dal punto di vista narrativo, su cui non mi esprimo, ma veramente si vuole contestare l'accusa al piano grafico?
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Vendo Boucq, Aldobrando, L'età della Convivenza, ecc. ecc.
Compro Alvar Mayor 3
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QUOTE (texhnolyze @ Domenica, 20-Set-2020, 23:17) | Non credo che stesse accostando i 2 disegnatori a Miller nel segno ... Ha preso Miller come esempio di stilizzazione riuscita e quei due come l'esatto opposto: anonimo, termine che si confà alla meccanizzazione citata. Bastano 15 secondi per notarlo, 5 per effettuare la ricerca su google e 10 per una rapida occhiata. No, non sto facendo il simpatico, sono cose che riconosci a pelle, ma chiaramente a chi piace può continuare a farselo piacere, non c'è bisogno di farsi venire il sangue amaro per uno che ha scritto un commento, quella non è una recensione. Divenire robotico=standardizzazione. Trasfigurare=cosa buona. Il discorso ha un suo senso anche se è confuso. Sempre tentando di interpretarlo, "divenire robotico sia nostro"= nostra società ed è insindacabile. In pratica il segno di Miller si fa portavoce della nostra società ma con la stilizzazione estrema combatte la sterilità che la contraddistingue. Dopo parla di montaggio, mi sono concesso altri 60 secondi di ricerca, visto che ero curioso e ho sfogliato a caso il capitolo 165 online. Non so come è DK2 ma in questo capitolo c'è la gabbia a 16 vignette con teste parlanti usata in DKR. Se fosse solo per questo se lo poteva risparmiare il paragone, ma si sa che se citi Miller stai attirando fan ... A quel punto non ti resta che infilarci un altro cult, DD, e stai apposto. Al di là dei termini usati, del modo di esprimersi e degli accostamenti, quanto dice su Adlar e Moore è talmente vero che mi scuserete se lo affermo senza averlo letto, no, perché non lo leggerei mai con quei disegni. Quando dice che non raggiungono nemmeno l'artigianato è perché ritiene - credo - che siano proprio scarsi. Ora capisco che gli va contro anche dal punto di vista narrativo, su cui non mi esprimo, ma veramente si vuole contestare l'accusa al piano grafico? |
L’esegesi del testo di Boille non me l’aspettavo e mi sa che ti sei fatto un po’ di voli pindarici. Con un paio di supercazzole.
Inoltre permettimi di farti notare che: 1) arrivare e sparare la tua dicendo a gente che ha letto migliaia di pagine di TWD “basta andare su internet e controllare le tavole” suona un po’ ridicolo, non trovi? 2) “quella non è una recensione”. Beh, vaglielo a dire a Boille: è LA recensione settimanale di un fumetto che appare sulla rivista. 3) chi è intervenuto non ha detto che Adlard sia Michelangelo, ma che il suo stile (e ritmo di lavoro) è stato congeniale alla serie e funzionale alla storia raccontata. Liberissimo tu come Boille di dissentire o di definire i due disegnatori scarsi. Da qui a scrivere una recensione (mi spiace, ma di quello si tratta) così sconclusionata ce ne passa.
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fiocotram |
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Uberlogorrea
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QUOTE (texhnolyze @ Domenica, 20-Set-2020, 15:17) | Non credo che stesse accostando i 2 disegnatori a Miller nel segno ... Ha preso Miller come esempio di stilizzazione riuscita e quei due come l'esatto opposto: anonimo, termine che si confà alla meccanizzazione citata. |
QUOTE | Non credo che stesse accostando i due disegnatori a Miller nel segno.
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Due secondi dopo:
QUOTE | Ha preso Miller come esempio di stilizzazione riuscita e quei due come l'esatto opposto.
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In ogni caso, seguendo il filo di questo ragionamento, potremmo accostare negativamente il segno dei due disegnatori a qualsiasi altro artista che abbia invece offerto esempi di stilizzazione indovinata. Il problema è: siamo sicuri che i disegnatori di TWD cercassero una stilizzazione volta ad allontanare la "sterilità della società" che deve rappresentare? Siamo sicuri che i motivi per i quali Miller rielabora la tecnica delle ombre alla Steranko per dare quel preciso effetto in Sin City sia lo stesso mood che cerca Adlard o che cercava Moore e che si adatti meglio a quel tipo di storia? E se non fosse così, non andava bene anche paragonare il segno di Adlard e Moore a una pastasciutta o una torta di mele, già che c'era? Quello che penso io invece (senza pretesa di essere infallibile, ma perlomeno la serie l'ho seguita) è che in particolare Adlard assieme a Gaudiano e Rathbone abbiano cercato il più possibile di rendere il tratto "fotorealistico" (nei limiti dello disegno comunque stilizzato in modo classico del corpo umano che ha Adlard), proprio per accentuare l'immersione nelle vicende dei sopravvissuti e farci sentire partecipi. Poi leggendo uno può pensare che la cosa sia riuscita o meno, ma Miller c'entra meno che niente e la gabbia di vignette è tipica di tanti fumetti americani, non soltanto di DKR. Tony Moore è semplicemente il disegnatore dei primi sei numeri, in un contesto in cui la forma definitiva e riconoscibile di TWD fumetto l'hanno comunque data Adlard e Soci. Moore ha avuto il merito di aver dato un volto ai protagonisti, che è rimasto come guida di riferimento per molto tempo (almeno finché Rick e Carl non hanno cominciato a cambiare). Non è malaccio, ma semplicemente, come anche Kirkman ha affermato, non è adatto a quel tipo di atmosfere. Si è sviluppato più verso il grottesco.
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QUOTE (absoluto @ Domenica, 20-Set-2020, 22:46) | L’esegesi del testo di Boille non me l’aspettavo e mi sa che ti sei fatto un po’ di voli pindarici. |
O, per usare il temine tecnico, seghe mentali. (Si scherza! )
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