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> NBA VOL. III, te piace 'o presepio?
 
texor
Inviato il: Venerdì, 22-Giu-2018, 10:29
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Nba, Boston rivuole Smart ma guarda al mercato

Il tuttofare di Stevens è restricted free agent ma scambia messaggi d'amore con la dirigenza. Il g.m. Ainge intanto prepara il draft: la squadra avrebbe bisogno di pochi ritocchi, ma le tentazioni e i jolly da giocarsi sul mercato non mancano

Nuova casa, vecchie abitudini. I Celtics nel nuovo centro di allenamento a downtown Boston e hanno portato anche Marcus Smart. O meglio, il suo armadietto. La targhetta con nome e numero 36 svetta in spogliatoio, nonostante il pitbull di casa Stevens sia free agent. Franchigia e giocatore si sono scambiati parole d’amore già dal post gara-7 di finali di Conference contro i Cavs. Questione Smart a parte, i Celtics non dovrebbero vivere un'estate travolgente, ingessati dal salary cap e sicuri di un gruppo che con i recuperi di Kyrie Irving e Gordon Hayward si preannuncia da corsa. Con Danny Ainge e tutti gli asset a sua disposizione (un arsenale di talenti in rampa di lancio e scelte al draft) non ci si annoia mai, soprattutto durante la notte del Draft…
STEVENS — “Tutti, qui a Boston, vogliono che Smart torni con noi - dice chiaro coach Stevens -. Io e Ainge la pensiamo allo stesso modo. È un vincente nato e riesce a contagiare con il suo atteggiamento e la sua voglia”. L'unico ostacolo tra Boston e la conferma del suo restricted free agent potrebbe essere l'ingaggio, soprattutto dopo le parole di Smart dopo la fine della serie con i Cavs (“Sono un giocatore da 12/14 milioni a stagione”). I Celtics possono tenerlo pareggiando qualsiasi offerta, ma che succederebbe se ci fosse qualche squadra pronta a fare follie per un giocatore che odi se ce l'hai contro ma ami se è nella tua squadra? “L’unica parte del lavoro a cui non ho accesso e non conosco è quella legata ai soldi. Ma so che tutti vogliono Marcus” dice Stevens.
SMART — La guardia lancia segnali d'affetto già da un mese. “Il mio cuore appartiene a Boston” aveva detto il giorno dopo il k.o. in gara-7 con i Cavs. Nel frattempo non ha cambiato idea: “Prossimo anno ai Celtics? Onestamente, sì - ha confermato mercoledì -. Boston mi ha dato così tanto affetto, sin dal primo giorno. Vorrei continuare a restituire il mio amore alla città. È così difficile persone così. Boston è un posto genuino. E poi ora più che del mercato mi sto occupando della mia famiglia, in particolare di mia madre ( malata di cancro, ndr). Ci sono cose che vanno oltre il basket…".
BAYNES — L'altro nodo importante già in casa Celtics è Aron Baynes. Il lungo australiano, anche lui free agent, nei playoff (soprattutto grazie alla sua presenza difensiva, ben oltre ai 6 punti e 6.2 rimbalzi a uscita nell’ultima postseason) è diventato uno delle pietre miliari per l’identità della squadra di Stevens: “Baynes è stato grandioso. È parte di un gruppo molto coeso, per questo sarebbe ottimo riportarlo con noi”. La sua esperienza (ha vinto il titolo con gli Spurs nel 2014) e la fisicità farebbero molto comodo a un roster giovane e che ha bisogno di rafforzare ulteriormente il reparto lunghi.
EFFETTO AINGE — Questo a condizione che Ainge non tiri fuori qualche asso dalla manica. “Ovviamente ci stiamo preparando per pescare al meglio con la nostra scelta numero 27 - ha detto al Boston Herald -. Potremmo però finire la serata più in alto, potremmo finire ovunque...”. Perché i Celtics, nonostante una situazione salariale ingessata (poco più di 80 milioni da destinare al trio Hayward-Horford-Irving, con Smart che punta a monetizzare) hanno diversi jolly da giocarsi, con Terry Rozier considerato il pezzo più pregiato sacrificabile. Le suggestioni si chiamano Kawhi Leonard (via trade) e LeBron James (meglio attraverso scambi che nella free agency), la realtà è che questo roster senza infortuni sembra già attrezzato per fare grandi cose, soprattutto se la dirigenza saprà ritoccarlo nei punti giusti, con un lungo versatile che sappia tirare da fuori in cima alla lista degli obiettivi. Jayson Tatum e Jaylen Brown rappresentano la meglio gioventù da cui Boston si aspetta un salto di qualità. A meno che Ainge...
Andrea Grazioli
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texor
Inviato il: Venerdì, 22-Giu-2018, 10:33
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Nba draft: scelte, trade e commenti in diretta
Segui con i nostri giornalisti la notte in cui i giovani prospetti diventano giocatori. Cronaca, analisi e dietro le quinte


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texor
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Nba, draft: Ayton 1ª scelta a Phoenix. Doncic alla corte di Nowitzki

Nel Barclays Center di Brooklyn disegnato un pezzetto di prossimo futuro della Nba. Il draft va liscio, senza tante sorprese. DeAndre Ayton debutterà coi Suns, come già dichiarato nei giorni scorsi. Lo sloveno sulla nuova squadra: "Non sono sorpreso, avevo parlato tanto con loro e sapevo di piacergli"

La grande novità è la presentazione dei venti candidati, quelli praticamente sicuri di essere scelti al primo round, che sfilano sul palco e vanno a sedersi nella Green Room. Applausi per tutti. Dentro il Barclays Center di Brooklyn si disegna un pezzetto di prossimo futuro della Nba. Questo è un draft profondo, tanto talento che poi però dovrà trasformarsi in punti, rimbalzi e assist nella grande Lega. Quasi tutto va liscio e senza sorprese. Insomma, poca suspence. Più o meno come avevano apparecchiato i vari siti nei loro “mock”. Soprattutto per la prima scelta, nessuno aveva dubbi. Viene chiamato DeAndre Ayton, il centro di Arizona che diventa il secondo giocatore delle Bahamas a essere selezionato per primo (l’altro era stato nel 1978 Mychal Thompson, il papà di Klay dei Warriors) e 13° non americano a ricevere questo onore. A 16 anni, DeAndre aveva scommesso sulle sua capacità di trasformarsi un giorno in un campioncino del basket e per questo era emigrato negli States: a San Diego, poi in Arizona. E proprio in Arizona, ai Phoenix Suns, debutterà nella Nba. Lo aveva dichiarato ai quattro venti in questi giorni: “Sarò numero uno e giocherò per i Suns”. Ma giovedì sera ammetteva: “Mi aspettavo che il commissioner chiamasse il mio nome, ma quando l’ha fatto non ho capito più niente. Solo vedere l’espressione felice di mia mamma rende la mia gioia incontenibile”. Dietro di lui, segue il talento di Duke, Marvin Bagley III, uno dei tre nella storia dell’Acc con Duke a guidare nei punti (21), nei rimbalzi (11.1) e nell’accuratezza (61.4% in azione), che va a Sacramento dai Kings.
FENOMENO DONCIC — Ma subito dopo arriva il momento atteso di chi in Europa ama questo sport: con il numero 3, Atlanta sceglie Luka Doncic (5° “internazionale” pescato nei top 3 dopo Yao Ming, Andrea Bargnani, Darko Milicic e Pau Gasol). Ma il cappellino degli Hawks il ragazzino di Lubiana lo indossa giusto sul palco mentre stringe la mano al commissioner Adam Silver. Perché pochi istanti dopo glielo cambiano. È la bellezza del draft: in un amen, causa una trade, Doncic dalla Georgia si ritrova in Texas, a Dallas. E lui è contento così: “Non sono sorpreso, avevo parlato tanto con loro e sapevo di piacergli. E poi giocherò con una leggenda come Dirk Nowitzki”. Il fenomeno sloveno di 19 anni non ha parole per definire la sua stagione. E come potrebbe, nell’arco di nove mesi ha partorito un trionfo nell’Europeo da Mvp con la Nazionale, la vittoria in Eurolega da doppio Mvp (regular season e Final Four) e lo scudetto con il Real Madrid ancora caldo (naturalmente Mvp pure nelle finali della Lega spagnola). Dice: “Che cosa posso aggiungere: è un sogno che si realizza. Forse molto di più. Adesso pure la chiamata da numero tre al draft”. Ride. Prima aveva abbracciato sua mamma, che è un ex modella e sembra più sua sorella tanto è giovane, e sua nonna. Quando gli chiediamo nei corridoi, mentre parla al cellulare, se è al telefono con la FirstLady americana, la sua connazionale Melania Trump, ride di gusto: “No, non ancora”.
TRAE YOUNG — Al suo posto ad Atlanta arriva Trae Young, fenomeno di Oklahoma, primo giocatore a guidare le università contemporaneamente nei punti e assist nella stessa stagione. “Qualunque città a me andava bene”, spiegava Young, che portava un abito con pantaloni corti, come solo qualche settimana fa aveva indossato LeBron.
Nelle prime posizioni c’è stato un dominio dei lunghi. Perché con il numero 4 a Memphis va l’ala di 2 metri e dieci, Jaren Jackson di Michigan State, e con il numero 6, ai Magic, va l’altro ragazzone di 213 centimetri, newyorkese (di Harlem) ma di genitori ivoriani, Mohamed Bamba.
KEVIN KNOX — Quando Cleveland con il n° 8 non ha scelto Michael Porter, le cui azioni sono calate causa un’operazione alla schiena e un recupero incerto (verrà preso da Denver con il 14), i tifosi dei Knicks hanno invocato proprio il nome dell’ala di Missouri. Invece New York ha preferito l’ala di Kentucky da 15.4 p. E 5.4 r., Kevin Knox. Come con Porzingis due anni prima, dalla tribune sono partiti dei fischi, ma Knox sicuro del fatto suo diceva: “Hanno fischiato Porzingis e guardate un po’ dove è arrivato. Con lo stesso spirito vestirò la maglia dei Knicks. Possono intonare il nome di Porter ma si sono presi me e non deluderò”.
MENO STRANIERI — L’anno scorso nel primo round erano stati scelti 4 stranieri, quest’anno si è scesi a 3, dopo il primato di 15 del 2016.
1.DeAndre Ayton C. Suns Arizona 2.Marvin Bagley PF. Kings Duke 3. Luka Doncic. SG. Mavericks Real Madrid 4. Jaren Jackson. PF. Grizzlies Michigan State 5. Trae Young PG Hawks. Oklahoma 6. Mohamed Bamba. C. Magic. Texas 7. Wendell Carter C. Bulls. Duke 8. Collin Sexton. PG. Cavaliers. Alabama 9. Kevin Knox. SF. Knicks. Kentucky 10. Mikal Bridges SF Suns Villanova
Massimo Lopes Pegna
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Nba draft: Sexton, un regalo per LeBron. La delusione è Porter Jr.

Lotteria positiva per i Suns, che portano a casa anche Bridges: a Philadelphia va in cambio Smith

Tanta attesa, poco dramma. La serata più attesa dell’estate cestistica termina senza particolari scossoni. Un paio di scambi interessanti, che però non intaccano i roster; una scelta inaspettatamente bassa, quella di Michael Porter Jr.; e qualche scelta sorprendente, ma nemmeno troppo. Proviamo a fare il punto della situazione. Tenendo a mente che i risultati di un draft vanno valutati nel corso di 5, forse 10 anni. Non sono ancora passate 24 ore.
PREMIATI — Era annunciato, ma non per questo vale meno. DeAndre Ayton porta a casa la prima scelta, regalando a Phoenix un giocatore fisicamente scolpito, già in grado di avere impatto, e con grandi margini di miglioramento. Il suo arrivo corona una notte positiva per i Suns, che si aggiudicano pure Mikal Bridges con uno scambio (vedi sotto). Tornano a casa con due giocatori pronti a contribuire sin da subito, pur sacrificando qualcosa in termini di potenziale. Finisce con il sorriso anche la nottata di Collin Sexton, esplosivo penetratore da Alabama. Va con la 8 a Cleveland, costretta a rinnovare tutta la struttura attorno a LeBron James nel tentativo di convincerlo a restare. Difficile diventi (subito, almeno) subito una star, ma porta punti e pericolosità dal palleggio, qualcosa di cui i Cavs hanno tremendamente bisogno. Infine, sorride Jerome Robertson da Boston College, play tuttofare che si ritrova ai Clippers con una scelta in bassa lotteria. Più alta di quella che ci si aspettava. Assieme a Gilgeous-Alexander va a rinnovare il settore guardie, sempre in attesa di capire come si muoverà la franchigia per provare ad arrivare a Kahwi Leonard.
SCAMBIATI — Il movimento più interessante è lo scambio tra Atlanta e Dallas. I Mavs si sono portati a casa la numero 3, spesa per Luka Doncic; gli Hawks hanno preso Trae Young, più una scelta futura. Difficile non essere contenti per un tifoso dei texani. Che mettono un giocatore di talento unico nelle mani di uno dei coach più esperti della Lega, con il valore aggiunto di poterlo fare giocare a fianco a Dirk Nowitzki per almeno una stagione. Atlanta invece rischia grosso. Già Young è difficile da decifrare, visti gli alti e bassi della scorsa stagione; ora, ci si mette pure la pressione di aver rinunciato a una scelta più alta. Ma l’ex Oklahoma piaceva da tempo alla dirigenza di Atlanta, che con Kevin Huerter da Maryland rinnova il reparto esterni. Meno appariscente, ma comunque intrigante l’altro scambio principale della notte: Mikal Bridges viene spedito a Phoenix dai Sixers in cambio di Zhaire Smith, reduce da un’ottima stagione a Texas Tech, e una prima scelta del 2021. Classica mossa Sixers, che inseguono il potenziale nel presente, accaparrandosi pure un possibilità futura in più. Non gratis però. Bridges era un ottimo innesto per il sistema di Brett Brown, oltre che un personaggio dall’altro valore simbolico: aveva portato Villanova, college di Philadelphia, al titolo NCAA, e sua madre lavora proprio per i Sixers. Lo ha rimarcato spesso nella conferenza, prima di scoprire di essere stato scambiato.
DELUSI — Dal podio ai margini della lotteria. Michael Porter è il grande sconfitto del draft, almeno a guardare le previsioni iniziali. Dato addirittura per candidato alla seconda scelta, è finito parecchio indietro. A penalizzarlo sono state le preoccupazioni circa le sue condizioni fisiche. E comprensibilmente, aggiungiamo noi: solo 3 partite al college, un’operazione complicata, problemi di schiena anche durante i workout. Con un talento importante ma non superiore a quello di molti colleghi, nessuno in alto si è fidato. Lo hanno preso i Nuggets, primi a non qualificarsi ai playoff, e ultimi in lotteria. Prendere un giocatore di questa fragilità fisica è sempre un rischio; ma nel prenderselo, i Nuggets avevano meno da perdere delle squadre sopra. Se va bene, si ritrovano un giocatore di talento immenso. Se va male, le alternative non sarebbero state fenomenali. Sulla carta, si intende...
Andrea Beltrama
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Inviato il: Venerdì, 22-Giu-2018, 14:57
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Nba, frenesia da draft: l'esperienza vissuta dalla casa dei Wolves

La preparazione, l'attesa e le scelte del tradizionale appuntamento con la scelta delle nuove leve. Il racconto della giornata vissuta dal quartier generale dei Minnesota Timberwolves

Ve lo siete mai domandati come si vive il Draft nella città e nel quartier generale di una franchigia Nba? Beh, proviamo a spiegarvelo noi. Qui a Minneapolis i Wolves, per una volta dopo troppi anni non avevano una scelta di Lotteria grazie alla storica qualificazione per i playoff 2018 targata Jimmy Butler. Ma un view party era comunque previsto a downtown, centro città, fermata di metropolitana Target Field, di fronte allo stadio di baseball e a pochi passi dal Target Center, casa dei Lupi. Poi c’era l’appuntamento per i media a Mayo Clinic Square. Al quartier generale di franchigia. Incastonato nella Skyway, i tunnel coperti in cielo che collegano i grattacieli di Minny riparando dal freddo chi vive e lavora qui, d’inverno. Dal campo d’allenamento al Target Center sono appena 3’ a piedi sospesi per aria: si entra all’Arena senza mai dover uscire dal groviglio di palazzi. La palestra dove in mattinata s’erano allenate le Lynx di Wnba di Cecilia Zandalasini ha ancora le sedie e il palco apparecchiati in un angolo per la conferenza con la quale Thibodeau, Coach e Presidente di franchigia, appena 24 ore prima aveva introdotto i piani in prospettiva Draft. “Ci serve difesa, esterni duttili capaci di giocare da 2/3/4, e tiro”.
LE SEGRETE WOLVES — Una porta separa la palestra dalla sala stampa. Aperta per il Draft dalle 17 ora locale, un’ora e mezza prima dell’inizio Draft a Brooklyn. Alle 17.30 puntuale arriva la pizza. Che rasserena gli animi dei circa 25 giornalisti locali. Gli addetti stampa Wolves fanno presente che hanno allestito un’altra sala usata per media day e riunioni dirigenziali, con tanto di maxischermo. Così un’ala media trasloca. Poi, finalmente, inizia il Draft. Ayton a Phoenix non sorprende nessuno. La trade Atlanta-Dallas è il primo sussulto. Si sprecano i commenti pro Doncic, e persino qualcuno da caserma sulla mamma dello sloveno, la cui avvenenza non è passata inosservata. I vestiti dei giocatori attirano le attenzioni, ma ancor di più i tweet di Wojnarowski, il cronista di Espn che (come Yahoo) s’era accordata con TNT per non anticipare le scelte del Draft rovinando la suspense agli spettatori. La tregua dura poco. Woj anticipa le prime sei chiamate qualche ora prima del via, poi ricomincia pick per pick, come suo solito, semmai con giri di parole mirate, dal “X preferisce” al “Y non resiste” al “Z punta il laser su” che aggirano il divieto di scoop, ma raggiungono comunque lo scopo. C’è chi ride, e chi ride amaro. Come Porter, che scivola nel Draft per colpa della schiena. Qualcuno comincia a chiedersi se magari può scivolare sino alla 20, la chiamata di Minny. Niente da fare. Lo prende Denver.
LA SCELTA DEI LUPI — Quando tocca ai Wolves scegliere, i grandi nomi sono già tutti accasati. Qualcuno invoca Grayson Allen, personaggio controverso, ma conosciutissimo da Duke, che Utah invece chiamerà con la scelta successiva. Minny seleziona Josh Okogie, secondo anno da Georgia Tech. Nome non esattamente celeberrimo, persino per chi ha fatto i “compiti a casa”. Ci si guarda, ci si confronta, giusto per mettere assieme un identikit decente, buono per le domande successive. Il suo profilo richiesto: fisico, atletico, difensore. Ma carneade. Un 45’ dopo la scelta Okogie è infatti disponibile per l’intervista collettiva telefonica, in viva voce. "Faccio fatica a parlare – racconta, ancora emozionato mentre su Twitter gira il video del suo festeggiamento post chiamata - . Quando Thibs mi ha telefonato ero ad Atlanta con famiglia e amici. Lui ha detto “Ciao Josh” e non ho capito più nulla. Tutti hanno cominciato a urlare, piangere. Ho capito che Thibs ha parlato di difesa. Io farò tutto quello di cui la squadra ha bisogno”. Si torna a guardare la tv, sino alla chiamata numero 48. Minny sceglie Keita Bates-Diop. Giocatore dell’anno della Big Ten. “Scivolato” dopo le proiezioni da primo giro. Qualche sorriso soddisfatto appare, ora. La lavagna double face, da scuola elementare, coi nomi delle squadre e le 60 chiamate da compilare, si riempie coi prescelti. Tempo di scrivere/registrare i pezzi: ci sono Fox Sport, Espn Radio, The Athletic e lo Star Tribune, il giornale cittadino. Ma prima serve l’ultima parola di Thibs e del General Manager Layden.
PARLA THIBS — Compaiono in palestra, spuntati da qualche ufficio dei piani alti, prendono posto sul palchetto. Niente Barclays Center. Hanno gestito il Draft “da casa”. Layden spiega che a Minny sono arrivate proposte per arretrare come posizione, al primo e al secondo giro, ma che ha resistito alle lusinghe. E che Okogie e Bates-Diop avevano impressionato Minny durante i provini, entrambi visionati individualmente, con tanto di “interviste”. Thibodeau per una volta sorride soddisfatto: si stupisce che Bates-Diop fosse disponibile alla 48. “Era in lizza per la chiamata numero 20”. E’ l’una di notte quando il cronista italiano lascia la sala stampa. Dopo 8 ore di full immersion Draft. In tempo per sentire la provocazione di un collega che ancora picchia sui tasti del computer: “Non è che la seconda scelta è migliore della prima?”. La risposta ce la darà il parquet. Il Draft porta speranze e – talvolta – illusioni. Per la realtà ci sarà tempo.
Riccardo Pratesi
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texor
Inviato il: Sabato, 23-Giu-2018, 15:09
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Nba, a Dallas parte l'era Doncic: "Tante attese? Non mi fanno paura"

Il nuovo 77 dei Mavs si presenta: "Il tipo di basket che si gioca qui mi si addice". Coach Carlisle già lo incorona: "Partirà in quintetto. Chi mi ricorda? Vedo in lui qualità di Petrovic, di Kukoc e anche di Ginobili"

Finalmente sembra essere tornato l’entusiasmo a Dallas. Dopo stagioni difficili, un tanking più o meno mascherato nello scorso campionato e uno scandalo a sfondo sessuale che ha infangato la franchigia, i Mavericks ripartono dal gioiello sloveno Luka Doncic. Il 19enne reduce da una stagione surreale con il Real Madrid rappresenta il vero colpo del draft newyorchese, con l’inserimento di Dallas la quale dopo aver appurato che lo sloveno non sarebbe mai “sceso” alla quinta scelta, ha optato per una trade con gli Hawks (Trae Young, quinto pick del 2018, e una prima scelta al prossimo draft), catturando così Luka con la terza chiamata di Silver della serata. “Si apre un nuovo capitolo per i Mavs - commenta raggiante alla presentazione di Doncic e di Jalen Brunson il presidente della franchigia texana Donnie Nelson - siamo felicissimi di quello che abbiamo fatto al draft. Luka è un giocatore eccezionale che riesce a far rendere al meglio i compagni di squadra. Chi non vorrebbe giocare con un talento simile?”.
DONCIC — Riflettori naturalmente puntati sullo sloveno che sembra già a proprio agio in Texas. “Cosa conosco di questo Stato? - dice Doncic - i cowboys…Sono sicuro che mi troverò benissimo qui, so che non sarà facile ma sono pronto per questa sfida. La Nba naturalmente è un campionato difficile e affascinante, si gioca una pallacanestro veloce che credo si addica perfettamente alle mie qualità”. Dallas si ringiovanisce parecchio e ora prova a gettare la maschera. Basta pensare al futuro, da settembre si partirà per provare a vincere il più possibile. “Si, ora il periodo buio è alle spalle - conferma il tecnico Rick Carlisle - adesso dobbiamo cambiare marcia e iniziare a vincere. Posso già dire che Luka partirà in quintetto, insieme a Dennis Smith Jr. e a Harrison Barnes. La nostra sarà una squadra giovane ma con grande talento e potenzialità. Chi mi ricorda Luka? Non mi piace mai fare paragoni, vedo in lui qualità di Petrovic, di Kukoc e anche di Ginobili. Mi piace tantissimo il suo modo di interpretare la pallacanestro, è un giocatore altruista e incredibilmente versatile. Prevedo di utilizzarlo sia nel backcourt sia da ala”.
NUMERO 77 — L’America imparerà a conoscere il teenager capace di vincere tutto, da protagonista, nel Vecchio Continente. “So che ci si aspetta molto da me - chiude Doncic che a Dallas indosserà il numero 77 - ma la cosa non mi fa paura. Gioco a basket da professionista da quando avevo 15 anni, ho sempre voluto sbarcare nella Nba e non vedo l’ora di cominciare”. L’era Doncic sta per iniziare.
Simone Sandri
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Inviato il: Sabato, 23-Giu-2018, 15:15
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Nba, il guru delle star: "Prima LeBron, poi Oladipo: ecco come li miglioro"

David Alexander è un trainer che a Miami ha creato uno dei metodi di allenamento più ricercati dai giocatori che vogliono diventare "la miglior versione di loro stessi". Ecco i suoi segreti

Victor Oladipo ha chiuso il suo straordinario 2017-18 da non più di 3 minuti, la sconfitta dei suoi Pacers in gara-7 del primo turno dei playoff contro i Cavs di LeBron James ancora da assorbire. La star di Indiana ha appena messo piede nello spogliatoio ospiti della Quicken Loans Arena, un angusto spazio dove da lì a due mesi i Warriors festeggeranno il loro terzo titolo negli ultimi 4 anni. Oladipo raggiunge il suo armadietto, recupera il telefonino e manda un messaggio diventato virale grazie ad Instagram: “Quando possiamo ricominciare? Sono pronto a passare al livello successivo”. Il destinatario di quel messaggio, e il motivo per cui è diventato virale, è David Alexander, 41enne trainer che a Miami ha creato quello che ogni atleta che come Oladipo vuole “passare al livello successivo” considera tappa obbligata della propria estate. Non è Disneyland, non è un’isola esotica tutto mare e divertimenti, non è un posto per chi vuole un’estate tranquilla: è una sorta di campo di lavoro dove, 5 giorni alla settimana salvo impegni di business, Alexander aiuta le star Nba (e non solo) a diventare “la miglior versione possibile di loro stessi”, come racconta da Miami in una pausa del suo intenso lavoro.
BIOMECCANICA — Alexander non ricorda il nome del primo cliente Nba da cui ha cominciato, nel 2005. Ricorda però perfettamente quando lui e Donnie Raimon, il suo partner che è anche il preparatore che segue LeBron James 24 ore su 24, hanno svoltato grazie alla biomeccanica. “Eravamo entrambi tra i più stimati nei rispettivi settori - spiega -. Vedevamo un approccio completamente sbagliato nel trattamento degli atleti, volevamo creare qualcosa, basato sulle nostre conoscente, che li avrebbe aiutati ad esprimersi al massimo”. Il successo di Dbc Fitness, la struttura che Alexander e Raimon hanno messo in piedi nel cuore del Design District di Miami, è basato sulla biomeccanica. “Ogni nostro nuovo cliente viene prima di tutto sottoposto a 60 misurazioni ortopediche che ci forniscono tutte le informazioni su come funziona il suo corpo - spiega Alexander -. Mescoliamo poi i numeri con le necessità specifiche del nostro atleta: il suo sport, la sua squadra, il suo ruolo, il suo stile di gioco. Così creiamo un programma specifico basato su quello che serve ad un atleta”.
LAVORO DURO — Alexander segue personalmente 7 atleti al giorno, e lo farà per l’intera offseason. “Ognuno di loro lavora per 55 minuti, compresa la fase di riscaldamento. Ognuno segue un programma specifico, finito il quale passa altre due ore nella nostra struttura di recupero, sottoposto a massaggi e ai trattamenti dei nostri terapisti. Funziona così ogni giorno, 5 giorni la settimana, per tutta l’estate salvo obblighi di sponsor. Il mio lavoro però non finisce durante l’offseason: coi giocatori si crea spesso un rapporto di amicizia, quindi rimaniamo in contatto anche durante la stagione. Seguo i miei atleti, li tengo d’occhio, cerco di capire se si nutrono nel modo giusto, se dormono, si allenano, hanno il tempo di recuperare”.
IL CASO OLADIPO — La trasformazione di Oladipo nell’ultima stagione a Indiana è solo l’ultimo dei successi di Alexander, che considera Dwyane Wade il suo cliente principale. “Victor però è diventato come un fratello minore per me. La scorsa estate è stata la prima volta in cui abbiamo lavorato insieme: si è creato un rapporto di fiducia. Quel messaggio dopo gara-7 la dice lunga su di lui e la sua etica del lavoro: Victor sa bene che l’offseason è il momento in cui bisogna cominciare a lavorare per raggiungere l’obiettivo che si è dato, cioè diventare mvp in Nba e vincere il titolo. Non c’è tempo da perdere, non c’è tempo da sprecare per non migliorare. Io ho lo stesso approccio: ogni volta che lavoro con un nuovo atleta cerco di fare di tutto per renderlo la miglior versione possibile di se stesso”.
OCCHIO A WALL — Il profilo Instagram di Alexander è la miglior testimonianza del suo lavoro. E’ popolato di video di atleti (alla Dbc Fitness in questi giorni, oltre a Oladipo, si vedono Andre Drummond, CJ McCollum, Rajon Rondo, Jahlil Okafor e John Wall) che lavorano seguendo i dettami di questo preparatore che, pur non avendo mai preso in mano una palla da basket (“Ho giocato a football e baseball”) è diventato consulente fondamentale per chi vuole sfondare. Se Oladipo è stato l’atleta che l’ha fatto diventare virale, Wall potrebbe essere il suo prossimo capolavoro: “Sta facendo progressi ben superiori a quelli che ci aspettavamo, grazie alla sua capacità di imparare in fretta nuovi movimenti: è con me da due settimane ed è già ad un livello incredibile. Fa paura pensare che lavoreremo insieme per i prossimi due mesi…”.
Davide Chinellato
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Nba draft, Ayton va di corsa: "Suns possiamo fare la storia"

Il 20enne originario delle Bahamas suona la carica: "Siamo giovani e affamati". Insieme a lui presentate anche le matricole Mikal Bridges, Elie Okobo e George King

"Siamo giovani e affamati, possiamo fare la storia". DeAndre Ayton si presenta così ai suoi Phoenix Suns, neanche 24 ore dopo il Draft che l'ha incoronato come prima scelta assoluta. Il 20enne originario delle Bahamas è sembrato da subito a suo agio sul podio della conferenza stampa, tenuta in quella che sarà la sua casa Nba. Accanto a lui c'erano anche le altre matricole neo arrivate in Arizona, Mikal Bridges (pezzo pregiato, pescato dai Sixers alla chiamata numero 10 e subito girato a Phoenix in cambio di Zhaire Smith e una futura prima scelta al primo giro Draft del 2021), Elie Okobo e George King. Ma i riflettori sono tutti puntati sul gigante Ayton, che si è preso il palcoscenico da assoluto protagonista. Il sole sembra tornato a splendere nel cielo su Phoenix…
PRIMA SCELTA — "È stato un momento folle", esordisce DeAndre. Il momento, naturalmente, è quello in cui il commisioner Adam Silver l’ha chiamato sul palco come prima scelta del Draft: "Il mio sogno si è avverato. Salire e stringere la mano a Silver è stato molto emozionante, ma ho cercato di comportarmi nel modo più professionale possibile. Essere ai Suns è una benedizione". Smaltita l’eccitazione della pazza notte che l'ha catapultato nel mondo del basket professionistico, Ayton ha già in mente quali sono i primi passi da compiere nella Association: "Sono abituato alle pressioni, quello che voglio fare è diventare il miglior compagno di squadra possibile. Oltre che rappresentare al meglio il mio Paese".
SQUADRA — Delle grandi potenzialità della sua nuova squadra DeAndre sembra non avere dubbi:"Siamo giovani e affamati. Possiamo dare il via a qualcosa di davvero grande". I Suns, ora, sembrano aver messo la firma d’autore su un roster giovane, ma di enorme potenziale: Ayton (20.1 punti, 11.6 rimbalzi e 1.9 stoppate la scorsa stagione ad Arizona), Devin Booker e Josh Jackson (chiamato al salito di qualità) saranno i 3 gioielli al centro del progetto del nuovo head coach Igor Kokoskov. Il tutto senza dimenticare Mikal Bridges, altro arrivo di primo livello arrivato via Draft e pronto a dare il suo contributo da subito. Il lavoro da fare, naturalmente, sarà tanto e faticoso, ma l'entusiasmo a Phoenix è già alle stelle: "Il segreto sarà la chimica - continua Ayton - instaurare grandi rapporti su e giù dal campo. Il resto verrà col duro lavoro. Abbiamo gambe giovani per correre per giorni interi. Possiamo fare la storia…".
PROVOCAZIONI — Intanto Ayton ha già ricevuto il "benvenuto" nella Lega da parte di Joel Embiid. Il centro dei Sixers, pochi minuti dopo l’incoronazione di DeAndre come prima scelta assoluta del Draft, ha sentenziato via Twitter: "Non iniziate coi paragoni tra me e Ayton. Io difendo…". Una provocazione alla quale il rookie non ha voluto rispondere ("Non voglio commentare questa cosa"). A far calare il silenzio sulla presunta presenza difensiva "morbida" del suo nuovo fenomeno ci ha pensato coach Kokoskov: "Credo che diventerà uno dei migliori difensori della Lega. Il suo talento è incredibile: può proteggere il ferro e coprire tutte le zone del campo. È veloce e farà sentire la sua voce". Prima di salutare tutti Ayton ha concluso a modo suo: "Voglio crescere come giocatore e come uomo. Essere un esempio per la mia comunità. Ma voglio soprattutto dominare…".
Andrea Grazioli
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Inviato il: Sabato, 23-Giu-2018, 23:53
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Nba, il sogno americano di Gentile e Abass con Houston e Oklahoma City

Accanto a Marco Belinelli e Danilo Gallinari, altri due azzurri si sentiranno giocatori NBA almeno per quest’estate. Alessandro Gentile potrà allenarsi con gli Houston Rockets, una volta completata la riabilitazione dopo l’operazione alla mano destra, mentre Awudu Abass disputerà la Summer League di Las Vegas (dal 6 luglio al 17 luglio) con la maglia degli Oklahoma City Thunder. Da qui ad ottenere un contratto per giocare nella NBA, il passo non è però breve, ma quantomeno per entrambi sarà un primo contatto con la realtà statunitense.
Gentile punta sui Rockets
I programmi estivi di Gentile avrebbero dovuto comprendere la Summer League di Las Vegas con gli Houston Rockets, la squadra che possiede i suoi diritti NBA. Tuttavia le precarie condizioni della sua mano destra hanno reso necessaria un’operazione al pollice, effettuata una dozzina di giorni fa, e i due mesi necessari per convalescenza e recupero hanno fatto saltare il piano. Gentile, però, è senza vincoli con alcun club italiano, dopo la separazione da Milano e l’annata con la Virtus Bologna, per questo prende corpo la possibilità che il 25enne due volte campione d’Italia con l’EA7 vada negli States a metà agosto, per allenarsi a Houston, con l’obiettivo di disputare il training camp precampionato con la squadra di Mike D’Antoni e inseguire un contratto NBA. Qualora fosse tagliato durante il precampionato, in autunno, a quel punto Gentile tornerebbe a valutare il mercato europeo.
Abass con i Thunder
Per Abass la situazione è differente. In primis perché il 25enne comasco potrà disputare la Summer League: dopo i due match delle qualificazioni mondiali con la Nazionale - giovedì 28 contro la Croazia e domenica 1 luglio in Olanda - Awudu volerà alla volta di Oklahoma City, dove i Thunder lo schiereranno nella lega estiva di Las Vegas. Sarà un modo per verificare ulteriormente Abass, che un anno fa aveva disputato un periodo di prova con OKC. Dopo Las Vegas, Abass potrebbe anche ricevere una proposta per giocare nella Lega di Sviluppo con la squadra controllata dai Thunder, gli Oklahoma City Blue, ma al tempo stesso le opportunità di mercato europee non gli mancheranno: l’ex canturino è ai saluti con Milano, e le opzioni sono legate ad un’altra destinazione italiana (Torino è la più interessata) oppure un club straniero impegnato nelle Coppe.
Mirco Melloni
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Inviato il: Domenica, 24-Giu-2018, 13:54
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Spurs, si preferisce scambiare Leonard ad Est: le franchigie in corsa

Leonard ad Est? Si è questa la possibilità preferita dagli Spurs al momento

Leonard ad Est? Come riportato qualche settimana fa, i San Antonio Spurs sembrano intenzionati a favorire uno scambio di Kawhi Leonard che non lo porti a giocare ad ovest ancora nelle prossime stagioni ma bensì ad Est. La franchigia texana vorrebbe mandarlo in una squadra non rivale di conference e che dovrebbe affrontare soltanto due volte durante la regular season e soltanto eventualmente alle Finals NBA. Dunque al momento più che Leonard ai Lakers, o ad altre franchigia ad ovest, sembra sempre più plausibile una trade che porti Leonard ad Est.

Quali sono le squadre interessate a Leonard ad Est? Facile, si tratta di tre squadre in particolare:

Cleveland Cavaliers
Boston Celtics
Philadelphia 76ers
I primi per provare a blindare il Re ed aggiungere un secondo violino (ruolo riduttivo per un giocatore del genere), in Ohio e blindare anche il Prescelto; a Boston per fare un ulteriore passo in avanti in vista delle possibili Finals NBA 2018-2019; i Sixers per lo stesso identico motivo, aggiungere un All Star, un difensore super ad un contesto in cui Embiid e Simmons devono essere ancora totalmente decisivi anche nei playoffs.

Tre franchigie, una scelta che dipenderà da alcuni fattori:

Volontà degli Spurs in primis
Possibilità che Leonard rifirmi (avrebbe fatto sapere alle franchigie che nel 2019 firmerà con i Lakers presumibilmente)
Offerta di livello ed adeguata
Al momento gli Spurs per via del secondo punto non possono richiedere trade troppo importanti per Leonard e potrebbero dover rivedere i loro piani futuri con un ridimensionamento necessario ed un nuovo corso da impostare.
Marco Tarantino
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Inviato il: Domenica, 24-Giu-2018, 13:56
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Kostas Antetokounmpo passa dai Philadelphia Sixers ai Dallas Mavericks

Il fratellino di Giannis viene scelto alla 60esima scelta dai Philadelphia Sixers e poi girato ai Dallas Mavericks

Con la 60esima ed ultima scelta del Draft avvenuto ieri sera, i Philadelphia 76ers hanno chiamato il lungo greco Kostas Antetokounmpo (fratello del ben più noto Giannis). Però il giovane è stato scambiato subito dalla franchigia della Pennsylvania ai Dallas Mavericks, che ha ricevuto Ray Spalding (il ragazzo ex Louisville Cardinals era stato scelto dalla squadra texana con la 56esima scelta).

Antetokounmpo è un prodotto del college di Dayton e in questa stagione viaggiava a una media di 5.2 punti, 2.9 rimbalzi e 1.1 blocchi in 15.1 minuti a partita. Il fratello minore di Giannis non ha entusiasmato i GM NBA come fece l’attuale stella dei Bucks, e non sembra nemmeno avere le potenzialità per raggiungere il livello del fratello, che si era messo in mostra già quando giocava in Grecia e che ora è considerato un futuro MVP.
Come la superstar dei Milwaukee Bucks, Kostas è fisicamente e atleticamente molto interessane, ma è anche molto acerbo come giocatore. Il dubbio più grande sull’ala greca è che faccia la stessa fine dell’altro fratello maggiore Thanasis, che non tutti ricorderanno visto che ha giocato un totale di 6 minuti in NBA con la canotta dei New York Knicks nella stagione 2015-16 e che ora gioca in Grecia al Panathinaikos. La speranza della squadra di Dallas è che Kostas abbia preso di più dal fratello giusto.

Per chi non conoscesse per niente Kostas Antetokounmpo, i GM americani lo hanno definito come “Un giovane incredibilmente acerbo, proprio come Thanasis, quando è entrato nel campionato nel 2013. Ma, visto le sue dimensioni fisiche, ha una portata di 9 piedi 2 e un’apertura alare di 7 piedi 2, oltre a una agilità non da tutti, meritando sicuramente di esser chiamato al secondo turno o di firmare un contratto a due vie perché sarebbe un peccato non dargli neanche un possibilità“.
Giovanni Oriolo
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Inviato il: Domenica, 24-Giu-2018, 14:01
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I Nets al draft: chi è Dzanan Musa?

Il bosniaco pronto a prendersi il Barclays Center sin da subito

Con il 29esimo Pick del NBA Draft 2018, i Brooklyn Nets hanno selezionato la guardia tiratrice Dzanan Musa, atleta bosniaco di 19 anni proveniente dalla formazione croata del Cedevita: andiamo a scoprire chi è Dzanan Musa?
Dzanan Musa è stato il secondo giocatore europeo ad esser stato selezionato (dopo lo sloveno Luka Doncic) nel Draft della scorsa notte, caratterizzato da tante trade realizzate e trattative sfumate in extremis (diverse fonti avevano riportato numerose telefonate giunte nella War Room dei Nets per l’acquisizione della 29esima scelta).

Pochi secondi dopo la proclamazione, ESPN si è cosi espressa sul ragazzo bosniaco:

” Le sue fantastiche abilità da scorer, combinate alla sua stazza (2.06 m, 89 Kg, ndr), lo rendono un prospetto appetibile per il mondo NBA attuale. La possibilità di ricoprire sia lo spot di guardia tiratrice che di ala piccola consentirà a Kenny Atkinson di impiegarlo in diverse tipologie di lineup” .

Secondo quanto riportato da Adrian Wojnarowski e dal collega Mike Schmitz:

” I Brooklyn Nets manterranno l’atleta negli USA in vista della prossima Summer League e contribuiranno per 750.000$ al buyout da 1 milione di dollari previsto con il suo precedente club di appartenenza”

Dal punto di vista offensivo, l’atleta bosniaco possiede amplissimi margini di miglioramento. Nonostante infatti la tecnica di tiro sia di ottima fattura, nella scorsa stagione le percentuali dalla lunga distanza non si sono rivelate all’altezza (solo il 31,3%). Al cospetto di un’ottima capacità di costruirsi tiri difficili nell’ uno-contro-uno avversario, Musa tende ad accentuare troppo lo scontro fisico con il diretto avversario in fase di penetrazione. Ciò potrebbe rivelarsi controproducente per un atleta non ancora formato fisicamente, vista anche la giovane età.

Chi è Dzanan Musa? Aspetto difensivo e comparazione
Dal punto di vista difensivo, il suo wingspan non esagerato potrebbe rivelarsi alla lunga negativo contro ali più dotate fisicamente. Nonostante non sia un gran stoppatore, una discreta velocità di braccio gli hanno consentito di sfiorare le due palle recuperate di media a partita (1,5).

Giocatore a confronto: Mirza Teletovic.
Dzanan Musa, 29esima scelta dei Brooklyn Nets

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Claudio Tatoli
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Inviato il: Martedì, 26-Giu-2018, 10:11
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Nba, LeBron James free agent: dove giocherà?

Dall’improbabile ritorno ai Cavs alla suggestione Lakers: tutte le date e le possibilità del giocatore più ambito dell’estate

L’uomo di cui tutta l’Nba aspetta di conoscere il destino per ora si gode le giocate del figlio Bronnie, che se buon sangue non mente molto presto potrebbe trovarsi nella stessa situazione. LeBron James però sa bene che è vicino il momento di decidere, di capire con che maglia e in quale situazione il più forte giocatore in circolazione continuerà a regalare magie. Ogni opzione è ancora sul tavolo, da un’improbabile permanenza nella sua Cleveland, che stavolta gli perdonerebbe l’addio, a un trasloco sotto l’insegna di Hollywood per raccogliere l’eredità delle leggende Lakers.
LE SCADENZE — La prima data da cerchiare in rosso sul calendario è il 29 giugno, quando LeBron dovrà decidere se esercitare l’opzione da 35,6 milioni di dollari per il 2018-19. Farlo non vorrebbe dire rimanere certamente a Cleveland almeno per un’altra stagione: i Cavs hanno il cap ingessato da contrattoni fuori mercato come quelli di George Hill (19 milioni nel 2018-19), Tristan Thompson (17,5), JR Smith (14,7), Jordan Clarkson (12,5) e Kyle Korver (7,6), che rendono praticamente impossibile per il GM Koby Altman scambiarli per rinforzare la squadra. Se LeBron esercitasse l’opzione sarebbe probabilmente per una soluzione alla Chris Paul, passato un anno fa dai Clippers ai Rockets via trade dopo aver esercitato la propria player option. L’opt-in terrebbe viva la suggestione Boston (che non ha spazio salariale e potrebbe permettersi King James solo via trade) rinviando di un anno la free agency di LeBron. Decidesse di uscire dal contratto e mettersi sul mercato, LeBron potrebbe iniziare a parlare con le squadre interessate a lui a partire dalle 6 del mattino ora italiana del primo luglio.
LOS ANGELES — I Lakers sono i favoriti per convincere il free agent più desiderato dell’estate. Perché Magic Johnson e Rob Pelinka hanno creato a LA una situazione simile a quella in cui si trovava Miami nel 2010: possono cioè offrire a LeBron la chance di scegliere con quali altri All Star giocare. I Lakers hanno spazio per due giocatori al massimo salariale, possono arrivare ad un terzo fenomeno o via trade (i primi tentativi con gli Spurs per Kawhi Leonard sono andati decisamente male) o trovando il modo di liberarsi di Luol Deng (a libro paga per 18 milioni nel 2018-19). Los Angeles è anche la città dove il LeBron business man ha già da tempo la sua base: un suo sbarco permanente a Hollywood sarebbe l’assist perfetto per la crescita di quello che è già un impero. Il gioco per i Lakers però non è fatto: nonostante il pacchetto di giovani in rosa (possibile però che almeno uno tra Lonzo Ball, Brandon Ingram e Kyle Kuzma finisca sacrificato via trade per arrivare ad una star o liberarsi di Deng), i gialloviola per King James sono appetibili solo formando dei nuovi Big Three. E LA si troverà nella situazione di dover convincere qualcuno (preferibilmente Paul George, che però si è trovato bene a Oklahoma City) ad accettare i Lakers prima di poter corteggiare veramente LeBron.
PHILADELPHIA E HOUSTON — I Sixers a Est sono un’opzione più credibile di Cleveland. Joel Embiid e Ben Simmons sono fenomeni già in rosa, coach Brett Brown la garanzia di un’ottima mente in panchina e della stabilità della franchigia. Phila deve ancora liberare spazio per potersi permettere LeBron, ma cedere Bayless e rinunciare a riprendersi Redick, Johnson, Belinelli e Ilyasova non sarebbe un problema se King James dovesse davvero strizzare l’occhio alla città dell’amore fraterno. Houston, dando per scontata la conferma di Chris Paul, dovrebbe lasciar andare Clint Capela e Trevor Ariza per permettersi LeBron, a meno che Daryl Morey non riesca a trovare qualcuno disposto ad accollarsi i 42 milioni di dollari per cui Ryan Anderson è a libro paga nelle prossime due stagioni.
OUTSIDER — Difficile immaginare altro. Il ritorno a Cleveland è complicato dalla situazione di un roster difficilmente migliorabile e da un rapporto complesso con patron Dan Gilbert. LeBron aveva promesso un titolo al suo ritorno in Ohio nel 2014: aver mantenuto la parola gli ha fatto guadagnare il diritto di decidere cosa fare senza le scene di isteria collettiva che accompagnarono la Decision 2010. La suggestione Spurs è tramontata dopo la rottura tra Leonard e Gregg Popovich. L’ipotesi Celtics è complicata e quasi impercorribile. Dal destino di LeBron dipende quello di molti altri giocatori e di almeno 4 squadre. L’Nba aspetta il suo fenomeno.
Davide Chinellato
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Inviato il: Martedì, 26-Giu-2018, 10:16
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Nba, Belinelli: “Io free agent? Non guardo i soldi, voglio vincere”

L’azzurro da domenica va a caccia di un contratto: “Vorrei rimanere a Philadelphia, sono una gran bella organizzazione che penso possa diventare una delle migliori della lega”

In tre mesi a Philadelphia, Marco Belinelli si è ricordato di che pasta è fatto. L’italiano da più tempo in Nba ha capito che uno come lui, un «giocatore di sistema che ha bisogno di giocare per qualcosa di importante», deve far parte di una squadra con una struttura e tante ambizioni. E che abbia ben chiaro che il 32enne tornato da metà maggio nella sua San Giovanni in Persiceto (Bologna) non è solo un tiratore o un veterano, ma un giocatore intelligente e completo. Belinelli alle 6 italiane di domenica comincia l’ennesima free agency della sua carriera: è senza contratto, dopo la parentesi nella città dell’amore fraterno in cui ha giocato per sua stessa ammissione il miglior basket della sua carriera. Gli è già capitato 5 volte in carriera di doversi cercare un contratto: l’ultima in estate, nel 2015, finì per dire sì all’offerta dei Sacramento Kings: il contratto finora più ricco della sua carriera (19 milioni di dollari per tre anni), ma troppe promesse non mantenute che l’hanno portato a proseguire il suo personale tour della Association a Charlotte, ad Atlanta e poi a Philadelphia. Le pretendenti, dopo l’ottimo finale di stagione con i Sixers (13,6 punti di media in 28 partite, tirando col 38,5% da tre) e gli ottimi playoff (soprattutto i 16,6 punti di media nelle 5 partite del primo turno contro Miami,), non dovrebbero mancare. A cominciare proprio dai suoi Sixers, innamoratisi a prima vista (sarà stato il debutto a San Valentino...) di quello che è diventato il loro Rocky e pronti a riprenderselo, soprattutto se la caccia a LeBron James, il free agent più ambito dell’estate, dovesse chiudersi con un nulla di fatto lasciando intatto lo spazio salariale da destinare a giocatori come Belinelli, JJ Redick o Amir Johnson.
Marco, dove sarà alle 6 del mattino del primo luglio?
“A casa, a San Giovanni. Oppure in palestra ad allenarmi, ho già ripreso da tre settimane”.
Niente ansia da free agency?
“No, non molta. E’ normale che ci sia un pochino di agitazione e la curiosità di capire la tua nuova destinazione. Ma sono sempre stato abbastanza tranquillo in questo periodo”.
Non vive col telefonino sempre a portata di mano?
“Quello sì, tengo sempre acceso sia quello italiano che quello americano, anche di notte. Ricordo l’anno scorso, quando Charlotte mi mandò ad Atlanta in cambio di Dwight Howard il giorno prima del draft. Ero in Italia, erano le 3 del mattino e ricordo ancora quanto fu strano cambiare squadra di notte, saperlo mentre ero a letto. In quella circostanza non avevo voce in capitolo, essendo sotto contratto. Stavolta sarà diverso perché posso dire la mia”.
Dove vorrebbe giocare?
“Non ho mai nascosto che a Philadelphia mi sono trovato molto bene. Ma non voglio fare proclami e dire che tornerò sicuramente lì: so benissimo che può succedere di tutto durante la free agency. Spero di trovare un contratto importante in una squadra con tante ambizioni”.
Quando pensa di trovare un contratto?
“So di avere davanti una lista abbastanza lunga, che prima che possa sistemarmi io deve piazzarsi gente come LeBron, Kevin Durant e Chris Paul. Penso comunque di avere un contratto entro le prime due settimane di luglio. Massimo le prime tre”.
Come deciderà dove andare?
“Le squadre contattano Sam, il mio agente. Lui e mio fratello Umberto, che lavora con lui a Los Angeles, di solito mi chiamano col vivavoce e ci confrontiamo: quale team mi ha cercato, che offerta ha fatto, che tipo di squadra si è fatta avanti, quello che potrebbe essere il mio ruolo, cosa hanno detto il general manager o il coach durante la chiacchierata col mio agente. Poi ci riflettiamo su e aspettiamo, consapevoli di quanto sia importante non prendere decisioni affrettate”.
Rifarebbe una scelta come quella di tre anni fa, quando andò in una squadra di secondo piano come Sacramento che però metteva sul piatto un’offerta economica importante?
“Devo ammetterlo: non lo rifarei. In quelle situazioni però non è facile gestire le tante cose che ti succedono. E se arriva un’offerta economica importante, per un giocatore della mia età diventa un fattore da tenere in considerazione. Quello che mi interessa più di ogni cosa, quello che guiderà la mia scelta, è la voglia di giocare in una squadra che punta ai playoff o addirittura al titolo. Mi conosco, so che sono uno che ha bisogno di giocare in una squadra di sistema e con ambizioni importanti, perché questo mi mette in condizioni di dare di più. Vincere mi piace troppo”.
Torniamo a Philadelphia, quindi. Cosa hanno di speciale i Sixers?
“Sono una gran bella organizzazione che penso possa diventare una delle più grandi squadre Nba. Mi sono trovato davvero bene lì: per coach Brown (che si mosse in prima persona per convincerlo a dire sì ai Sixers, ndr), per i compagni di squadra, per il tifo caldo che c’era al palazzo, il Wells Fargo Center. E’ una squadra che ha voglia di vincere. Mi piacerebbe davvero rimanere lì, soprattutto ora che come assistente è arrivato Monty Williams, che è stato mio coach a New Orleans. Vedremo però quali squadre si faranno avanti e valuteremo cosa fare”.
Il suo ruolo in squadra sarà determinante nella sua scelta?
“No. Titolare o riserva a me non cambia molto: mi interessa avere un ruolo importante in una squadra forte, come è stato nel finale di stagione a Philadelphia. In fondo, esclusi i due anni a New Orleans in cui ho giocato titolare, sono sempre stato usato dalla panchina come settimo o ottavo uomo”.
Davide Chinellato
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Inviato il: Martedì, 26-Giu-2018, 10:31
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Nba, Harden conquista l’mvp

Ecco tutti gli altri premi

La star di Houston vince per la prima volta in carriera il premio di miglior giocatore della stagione. Nella notte degli Oscar di Los Angeles festeggiano anche Simmons e Oladipo. Casey miglior coach

Benvenuto nell’Olimpo Nba, James Harden. Il Barba entra definitivamente nel gotha delle stelle della Association conquistando per la prima volta in carriera il premio di mvp, consegnatogli direttamente dal commissioner Adam Silver nella notte degli Nba Awards di Los Angeles. Harden precede nettamente LeBron James (unico altro a ricevere voti al primo posto, 15) e Anthony Davis e corona col trofeo assegnatogli da un panel di 101 giornalisti internazionali una regular season stellare: 30,4 punti (più di tutti) e 8,8 assist in 72 partite, trascinando la sua Houston al miglior record nella Association. Mvp sul campo, probabilmente non nello stile (il completo e gli occhiali scuri con cui si presenta alla cerimonia che chiude il 2017-18 sono per lo meno rivedibili), Harden sale sul palco tenendo per mano la madre. “E’ la mia spina dorsale, nella buona e nella cattiva sorte: sono contento che sia mia madre - dice cercando di mascherare la commozione -. Da 6° uomo (vinse nel 2011-12, quando arrivo a giocarsi le Finals con Oklahoma City, ndr) a mvp: a tutti i giovani là fuori con un sogno, dico di continuare a crederci”. Poi in sala stampa attacca: “Penso che avrei dovuto vincere anche l’anno scorso (il premio andò a Russell Westbrook, ndr): non vedo molta differenza tra come ho giocato quest’anno e quello che avevo fatto nel 2016-17”.
ROOKIE OF THE YEAR — Il premio di miglior matricola va a Ben Simmons, prima scelta assoluta al draft 2016 e rivelazione con Philadelphia dopo un anno passato ad imparare in palestra e guardare dalla panchina. L’australiano dei Sixers ha preceduto Donovan Mitchell (Jazz) e Jayson Tatum (Celtics) incassando 90 voti al primo posto su 101, poi in sala stampa ha aperto ufficialmente la free agency mandando un messaggio a LeBron James: “Ci servirebbe davvero prendere un grande free agent da cui imparare. Non abbiamo un veterano che sia anche una star…”.
EFENSIVE PLAYER — Sul palco, col trofeo tra le mani, Rudy Gobert è probabilmente il più commosso tra i premiati quando riceve il riconoscimento di miglior difensore del 2017-18. E’ il primo giocatore dei Jazz a vincere il premio dopo Mark Eaton nel 1989: il suo primo grazie è per la mamma, rimasta in Francia anche perché “non parla una parola d’inglese”; quello più sentito è per Quin Snyder, il coach che ha trasformato i Jazz in una squadra da playoff. Gobert precede Joel Embiid (Sixers) e Anthony Davis (Pelicans).
MOST IMPROVED — “Ringrazio i Pacers per aver creduto in me: siamo solo all’inizio”. Dopo quello che ha fatto nel 2017-18, con Indiana trascinata al quinto posto della Eastern Conference in quella che doveva essere una stagione di transizione chiusa portando Cleveland in gara-7 al primo turno, quella di Victor Oladipo suona tanto come una minaccia. La star dei Pacers è il “più migliorato” per 99 dei 101 votanti: precede Clint Capela (Rockets) e Spencer Dinwiddie (Nets).
6TH MAN — Un grazie agli altri finalisti, uno ai Clippers “che mi hanno permesso di essere me stesso”. Lou Williams si prende così il premio di 6° uomo dell’anno (scelto da 97 votanti su 101) per la seconda volta in carriera, dopo il successo del 2015. Precede Eric Gordon (Rockets), vincitore dello scorso anno, e Freddy VanVleet (Raptors).
COACH — Il premio più incerto va a Dwane Casey, coach dell’anno per aver regalato a Toronto la miglior regular season della sua storia e nel frattempo esonerato dopo il fallimento ai playoff. “Quando ti licenziano inizi sempre a dubitare di te stesso, ti chiedi se vuoi ancora fare questo lavoro - dice sul palco, col trofeo che porta il nome di Red Auerbach in mano, il nuovo tecnico di Detroit -. Poi ho conosciuto Tom Gores, il patron dei Pistons: è tutto quello di cui avevo bisogno, una persona che credesse in me e mi desse un’altra chance”. Casey precede Quin Snyder (Jazz) e Brad Stevens (Celtics).
Davide Chinellato
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