Il Russiagate/Ucrainagate
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I rapporti tra Deutsche Bank e Donald Trump e il ruolo svolto dalla banca nelle centinaia di miliardi di dollari di prestiti concessi dall’istituto tedesco all’inquilino della Casa Bianca sono finiti al centro di un’indagine delle autorità americane. La squadra capitanata dal procuratore speciale ed ex capo dell’FBI Robert Mueller, riferisce il Guardian, avrebbe infatti contattato “i banchieri di Trump” e in un secondo momento partiranno le richieste ufficiali di informazioni sugli affari tra la prima banca di Germania e l’uomo più potente al mondo.
Secondo quanto riportato da Bloomberg, Trump deve a Deutsche Bank, il suo principale creditore, circa 300 milioni di dollari. Ha quattro mutui, tutti emessi dalla banca privata di Deutsche Bank. I prestiti immobiliari sono garantiti dalle proprietà del magnate e presidente degli Stati Uniti. Si tratta di un nuovo hotel di lusso a Washington DC situato dove prima si trovava l’ufficio postale, a due passi dalla Casa Bianca, un hotel grattacielo a Chicago e il resort “Trump National Doral” a Miami.
In febbraio la banca ha esaminato I conti di Trump per capire se c’erano dei legami in corso tra il presidente e la Russia e dice di non aver scoperto nulla di sospetto. Ciononostante i rappresentanti Democratici al Congresso, dunque membri del partito all’Opposizione, hanno chiesto a Deutsche Bank di fornire tutte le informazioni dettagliate possibili sui conti in banca di Trump.
Le richieste avanzate da Maxine Waters, il capo della Commissione dei servizi finanziari della Camera, sono volte a verificare se per caso dei funzionari o delle entità russi hanno fornito garanzie finanziarie per i prestiti che sono stati concessi al presidente o ai membri della sua famiglia. Il procuratore indipendente Mueller, 72 anni, è incaricato di indagare sulla possibile ingerenza del governo russo durante le elezioni presidenziali di novembre 2016.
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Il ministro della Giustizia Usa, Jeff Sessions, incontrò l’ambasciatore russo a Washington per discutere di temi legati alla campagna elettorale di Donald Trump durante la campagna elettorale presidenziale. Lo rivela il Washington Post sulla base di intercettazioni dell’intelligence. Secondo il quotidiano, il diplomatico Sergey Kislyak riferì ai suoi superiori a Mosca di due conversazioni avute con Sessions riguardo a tempi politici importanti per il Cremlino.
All’epoca Sessions era consigliere di politica estera di Trump e uno dei maggiori sostenitori dell’attuale presidente Usa. Il ministro della Giustizia non ha mai parlato di questi contatti con Kislyak neppure nella seduta di conferma da parte del Senato, anzi aveva dichiarato di «non aver mai avuto comunicazioni con i russi».
Notizia di un colloquio avvenuto a margine della Convention repubblicana di Cleveland era già stata resa nota a marzo dal Washington Post. Al momento Sessions non ha rilasciato commenti sulle nuove rivelazioni. Sul caso Russiagate, intanto, accordo raggiunto tra la commissione del Senato che indaga sul caso, il figlio maggiore del presidente Usa, Donald Trump jr, e l’ex capo del campagna elettorale di Trump, Paul Manafort. I due verranno ascoltati in audizione riservata, dove potranno anche presentare documenti sulle presunte interferenze da parte di Mosca nella campagna presidenziale del 2016.
In una dichiarazione congiunta il repubblicano Chuck Grassley e la democratica Dianne Feinstein hanno precisato che il comitato non costringerà Trump jr e Manafort a testimoniare pubblicamente la prossima settimana, ma che una simile eventualità resta non esclusa per il futuro in ragione degli sviluppi dell’inchiesta.
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NEW YORK. La Russia ha richiamato alla base il suo ambasciatore negli Stati Uniti, Sergej Kislyak. Un'ipotesi accennata da tempo ma che ora è diventata ufficiale, con un comunicato su Twitter, proprio a poche ore dalle scottanti rivelazioni del Washington Post. Il quotidiano, ieri, aveva riportato alcune intercettazioni di intelligence in cui Kislyak si vantava con i suoi referenti al Cremlino di aver discusso con l'attuale ministro della Giustizia, Jeff Sessions, di Trump, della sua campagna elettorale e del suo futuro approccio con la Russia. Cosa che Sessions ha sempre smentito in pubblico, complicando parecchio la sua posizione.
La decisione di richiamare Kislyak poco dopo questo ultimo capitolo del Russiagate potrebbe dunque far pensare come l'inchiesta sulle presunte complicità tra lo staff di Trump e Mosca durante la campagna elettorale possa prendere una piega sempre più infausta per il presidente americano e quello russo Putin. Dopo le recenti smentite su una possibile dipartita di Kislyak, l'ultima a fine giugno, oggi il Cremlino ha ceduto. Non è stato ancora comunicato il suo successore, ma molto probabilmente sarà il viceministro degli Esteri russo Anatolj Antonov, che fino a qualche giorno fa ha condotto una dura campagna diplomatica con gli americani per far annullare le sanzioni di Obama per gli hackeraggi pre elezioni.
Kislyak, 66 anni, ambasciatore negli Stati Uniti dal 2008 e con alle spalle una prospera carriera diplomatica nell'Unione Sovietica, è una figura cruciale dell'inchiesta sul Russiagate. Oltre agli incontri e ai rapporti con Sessions, ha incontrato più volte il genero e consigliere di Trump, Jared Kushner, in almeno due occasioni, nell'aprile 2016 e poi in dicembre all Trump tower di New York. Riguardo alla prima occasione Kushner ha detto di "non ricordare", sulla seconda ha parlato semplicemente di "stabilire un contatto" dopo l'elezione del suocero alla Casa Bianca.
Ma soprattutto, Kislyak è stato strumentale nella caduta di Michael Flynn, il consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, che a febbraio si è dovuto clamorosamente dimettere a causa di alcune conversazioni segrete con l'ex ambasciatore russo che Flynn, ufficialmente, non aveva comunicato neanche al vicepresidente Penn. Ora Kislyak, mentre l'inchiesta Russiagate si sempre più bollente, se ne va. E chissà quanti segreti porterà con sé a Mosca.
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WASHINGTON - Il Russiagate esce dalle lande della sola polemica politica ed entra anche nei tribunali. Il procuratore speciale Robert Mueller ha infatti selezionato e convocato un grand jury a Washington nell'ambito dell'inchiesta sulle presunte interferenza russe nelle elezioni americane del 2016. Lo scrive il Wall Street Journal.
La convocazione di un grand jury segnala che l'inchiesta sta crescendo in intensità ed entrando in una nuova fase. Con i dovuti distinguo, è la fase processuale che in Italia avviene davanti al gip. Il grand jury, nell'ordinamento americano, è una giuria composta da dodici persone di fronte alla quale i procuratori possono richiedere documenti, presentare prove ed eventualmente sentire i testimoni sotto giuramento. Il grand jury ha poi il potere di 'rinviare a giudizio' nel caso in cui le prove presentate non sia palesemente insufficienti. La procedura davanti al grand jury avviene a porte chiuse.
Trump è indagato per 'ostruzione alla giustizia' e anche se formalmente il grand jury non può accusare il presidente in carica (l'impeachment può essere deciso solo dal Congresso) l'indagine tocca tutti i punti dello scandalo e i gangli vitali della Casa Bianca e dell'amministrazione Trump.
Le accuse per il presidente sono relative all'ipotesi che abbia chiesto all'ex direttore dell'Fbi James Comey di insabbiare l'inchiesta sui contatti tra il suo staff e funzionari russi durante la campagna elettorale, alla ricerca di materiale compromettente contro Hillary Clinton. Sono ormai molte le testimonianze che confermano i contatti tra i russi e, tra gli altri, Jared Kushner, cognato del presidente, marito di Ivanka Trump. Kushner ha ammesso gli incontri pur difendendosi: "Nessun contatto improprio, non sono colluso".
IL CONGRESSO VUOLE BLINDARE PER LEGGE IL RUOLO DI MUELLER Mentre dal fronte giudiziario arrivano queste novità, due senatori Usa - un democratico e un repubblicano - hanno presentato un disegno di legge bipartisan pensato per proteggere la posizione di Mueller, alla luce del pressing che sta montando su di lui mentre indaga: il ddl impedirebbe al presidente usa di licenziare direttamente Mueller senza un'analisi giudiziaria.
In pratica, l'ex direttore dell'Fbi potrebbe contestare in tribunale il suo siluramento nel caso di licenziamento senza giusta causa. Il ddl è retroattivo: se approvato, sarebbe valido dal 17 maggio scorso, giorno in cui Mueller fu nominato dal numero due del dipartimento di Giustizia.
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